L’Azienda ospedaliera universitaria di Pisa insieme all’Istituto di neuroscienze del Cnr ha studiato la connessione tra attività fisica e disturbo dell’ «occhio pigro». I pazienti interessati nello studio hanno guardato film mentre si esercitavano alla cyclette.
Cosa è l’occhio pigro, o ambilopia, e chi colpisce
L’occhio pigro si manifesta soprattutto nell’età infantile, in particolare nei bambini nati prematuramente e in quelli che hanno alle spalle una storia familiare di ambliopia.
L’occhio pigro, o ambilopia, si manifesta principalmente in una riduzione della capacità visiva, come spazio e come acutezza e si manifesta solitamente entro la prima decade di vita, tuttavia può anche interessare pazienti in età adulta ed è a questo punto che risulta più difficile da trattare.
Come disturbo diffuso tra gli adulti viene causato da uno sbilanciamento in età giovanile dell’attività dei due occhi, che può essere dovuto a diverse cause: strabismo, forti differenze nel potere rifrattivo dei due occhi (anisometropia), opacizzazioni della cornea, cataratta congenita.
Come si cura l’occhio pigro
Nel bambino l’occhio pigro può essere facilemnte trattato prima degli otto-nove anni, ma nell’adulto non è curabile: questo limite è dovuto alla riduzione della elasticità cerebrale che si riscontra in età adulta. La ambilopia è infatti, nella cura, molto legata alle condizioni del cervello del paziente, strada che è stata esplorata dallo studio fatto a Pisa, e che ha permesso una scoperta sorprendente.
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Per curare il problema occorre trattare la malattia che lo determina (errori refrattivi, strabismo, cataratta), la capacità visiva, oltre che dal bendaggio dell’occhio sano (come di norma si fa con i bambini), tuttavia si è riusciti a collegare gli effetti dell’attività fisica al benessere dell’occhio in tal direzione.
L’occhio pigro e l’attività fisica
Lo studio, pubblicato nella rivista «Annals of Clinical and Translational Neurology», dimostra che l‘esercizio fisico segna un miglioramento riscontrabile negli adulti affetti da ambliopia, condizione che, se non curata, tende a peggiorare nel tempo.
L’attività fisica migliora infatti la plasticità omeostatica nell’adulto, migliorando di conseguenza la visione dell’occhio pigro. Durante l’esperimento di ricerca un gruppo di dieci persone ambliopi ha subito, per tre giorni di seguito, un breve periodo di deprivazione della visione dell’occhio ambliope mentre guardava un film e alternando, durante la visione, dieci minuti di pedalata alla cyclette con dieci minuti di riposo, per tre ore complessive. Questa procedura è stata ripetuta per altre tre settimane, riducendo il numero di giorni di trattamento per settimana da tre a uno.
Altri soggetti, in parallelo, hanno subito la deprivazione senza l’uso simultaneo della cyclette, quindi senza attività fisica. I risultati sono stati evidenti: chi ha svolto attività motoria ha mostrato un netto recupero dell’acuità visiva e della visione della profondità, effetto che si è mantenuto nel tempo ed è risultato presente anche dodici mesi dopo la fine del trattamento. I soggetti di controllo, invece, hanno evidenziato solo livelli di recupero trascurabili.
Perchè l’attività fisica modifica il cervello (e quindi la visione)
Lo studio portato a termine a Pisa rappresenta un grande passo aventi nello studio sulle connessioni tra cervello e visione, oltre ad essere la prima dimostrazione della possibilità di utilizzare l’attività fisica come elemento per recuperare in tempi brevi funzioni visive in presenza dell’occhio pigro e, se questo non bastasse, contiene anche un’altra importante novità.
«Gli studi condotti su modelli animali evidenziano che l’attività fisica potenzia la plasticità cerebrale, ossia la capacità dei circuiti del cervello di cambiare struttura e funzione in risposta agli stimoli ambientali»
«La chiusura temporanea di uno dei due occhi porta al miglioramento della percezione visiva in quell’occhio. Anche questo tipo di plasticità visiva si potenzia in risposta all’attività fisica volontaria nelle persone sane».
«La chiusura dell’occhio ambliope quale strategia per favorirne il recupero è confermata come efficace – dichiara infine Alessandro Sale, ricercatore dell’istituto di Neuroscienze del Cnr-. Il paradigma più usato, in questo campo, prevede lunghi periodi di occlusione dell’occhio sano, per contrastarne la predominanza e favorire l’uso dell’occhio pigro. Il lavoro pubblicato mostra invece che la chiusura dell’occhio ambliope, se avviene in condizioni che favoriscono la plasticità omeostatica, offre scenari di trattamento insperati e ancora tutti da esplorare, anche se è effettuata per periodi di tempo molto brevi».
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Simone Maffioletti
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